giovedì 31 marzo 2011

Premessa

Con questo post intendo iniziare una lunga serie di articoli sullo spirito critico e sulla razionalità, dai problemi quotidiani alle questioni esistenziali, elementi alla base della mia filosofia di vita.
È un'idea che avevo da tempo nel cassetto – un'idea che mi è venuta ancora prima di aprire un blog – ma che non si è ancora tradotta in un risultato leggibile. Ogni tentativo finiva cestinato per qualche motivo, o perché mi sembrava troppo didascalico, o troppo colloquiale, o perfino moralista in alcuni momenti. Un giorno ho addirittura tracciato un grafo delle dipendenze tra i concetti per ricavarne un ordinamento topologico – ovviamente senza successo. (Spero che questa sia la volta buona.)
Non è il mio obiettivo scrivere un trattato di logica o di filosofia, ma solo raccontare come ho costruito il mio personale approccio alla vita, che almeno nel mio caso sembra aver dato ottimi risultati, e magari dare dei buoni consigli ai lettori – un obiettivo alquanto pretenzioso, lo ammetto.

Forse è il caso che comincio dall'inizio e vado con ordine. Per ora, solo un assaggio.

Userò la parola razionalità piuttosto impropriamente per indicare da una parte tutto un insieme di capacità di cui molti esseri umani – se non tutti – sono dotati, dall'altra l'insieme di atteggiamenti con cui queste abilità vengono messe in pratica. (Infatti non tutti coloro che ne sono dotati le usano, ma di questo parlerò un altro giorno.) Una di queste è lo spirito (auto)critico, cioè la capacità (e l'abitudine) di mettere in discussione le informazioni che ci arrivano e anche le nostre stesse convinzioni – in parole povere, l'abitudine a farsi sempre delle domande e la flessibilità di cambiare idea qualora sia il momento di farlo.
Seguono le abilità logiche, quelle che ci permettono di ragionare, nel senso più "matematico" del termine. Aggiungerei sotto questo enorme cappello della "razionalità" anche la curiosità (fondamentale per uno spirito critico), la ragionevolezza intesa come equilibrio (e quel poco di freddezza sufficiente ad essere critici) e la conoscenza di sé e in particolare dei propri limiti. Con un po' di capacità di proiettarsi nel lungo termine raggiungiamo praticamente la perfezione, ma non è necessario essere perfetti per essere razionali.

Nella prossima parte, spiegherò cosa rende importante secondo me essere razionali e soprattutto come essere razionali non impedisca di essere felici (l'opposto della scuola di pensiero "Trapaniamoci il cervello").

(Rileggendo il post mi sembra di essere stato un po' manualistico... ma non ho voglia di cestinare anche questo tentativo.)

domenica 27 marzo 2011

Approssimativamente

Fino a pochi mesi fa, da bravo perfezionista, ho sempre visto le approssimazioni come una sorta di affronto a una presunta Verità perfetta, irraggiungibile, ma dalla quale allontanarsi è peccato. Il timore di perdere una minima parte di informazione mi assaliva davanti a ogni arrotondamento. (Ovviamente non sto parlando solo di numeri, è una metafora – sì, lo so, è brutto segnalare una metafora, il lettore dovrebbe riconoscerla da solo, ma non confido così tanto nel genere umano.)

Devo ringraziare l'ingegneria e le scienze "inesatte"[1] per avermi insegnato che non solo l'approssimazione è necessaria (fosse solo questo, continuerei a considerarla un peccato veniale, che ogni volta richiede un atto di penitenza), ma spesso è buona: ci semplifica la vita senza impedirci di raggiungere l'obiettivo. L'importante è saper gestire l'errore, quindi conoscerlo e prevederlo – e qui sta la difficoltà, ma è tutta un'altra storia.

Meglio ancora: in alcuni casi l'approssimazione non ci fa perdere proprio niente, perché cancella una parte di informazione che non abbiamo mai avuto. Spesso infatti ci sembra di essere più precisi di quanto ci possiamo permettere con gli strumenti che abbiamo. Proprio qui volevo arrivare. Noi umani tendiamo a sopravvalutare la nostra conoscenza, la nostra percezione del mondo. Il nostro orgoglio (chiamatelo come volete), stupidamente, ci impedisce di sospendere il giudizio, quando non abbiamo abbastanza informazioni.
Possiamo vederlo come un errore sulla nostra precisione, un'approssimazione della nostra capacità di approssimare, in pratica un errore di approssimazione del nostro errore di approssimazione... Ok, è meglio se mi fermo qua.

Ad ogni modo, è solo una questione di atteggiamento; basta veramente poco, talvolta. Basta un minimo di accortezza, basta conoscere minimamente i propri limiti, farsi qualche domanda in più. Però, come sto maturando in questi anni, la gente è scema – detto molto terra-terra – oppure, per dirlo in modo più fine, "la media è veramente bassa".



[1] Cioè tutte, da un certo punto di vista, ma non voglio aprire una questione filosofica dentro un'altra questione filosofica

giovedì 24 marzo 2011

Alienazione

Negli ultimi giorni, ogni mattina mi sveglio e mi sembra di essere in un universo parallelo, quasi del tutto simile a quello in cui sono nato, ma con la differenza che non capisco un cazzo. L'Italiano mi sembra una lingua strana, che fatico a seguire. Sorrido e annuisco. Mi metto a dire cose senza senso, perdo sempre il filo del discorso. Prima di attraversare un incrocio è già tanto se mi ricordo di guardare a sinistra e a destra. Sento di non controllare perfettamente la mia mente (come se normalmente fosse possibile¬).
Ho smesso di soffrire di insonnia. (Ormai non mi riconosco più.) Ma ho due occhiaie enormi. Forse sono loro ad essersi impossessate della mia mente. Al tempo stesso mi conferiscono una specie di aura di saggezza. Come una sorta di saggio cinese, però con le occhiaie al posto del pizzetto.
Sarà una specie di deficit d'attenzione. Sarà la vecchiaia. Sarà l'Illuminazione che si annuncia prima di arrivare. Forse ho assimilato troppe informazioni in questo periodo, forse è il caso che per qualche giorno smetto di parlare, leggere e scrivere e creo il vuoto nella mia mente. E magari mi piazzo sotto un albero di ficus religiosa, ci rimango per qualche mese, poi dico di aver raggiunto il bodhi e vado a fare il santone.

mercoledì 9 marzo 2011

Si chiama culo.


Post scritto il 2 marzo 2011 con l'intenzione di pubblicarlo in seguito.


Non saprei in che altro modo chiamarlo. Vedo i miei amici che fanno una fatica estrema a trovare non dico l'anima gemella, ma anche solo un qualcuno con cui stare bene e condividere una parte del proprio tempo, il proprio bisogno di affetto, eccetera, e spesso quando lo trovano finisce che sorgono ogni giorno nuovi problemi. Io invece ho avuto solo relazioni serie, lunghissime e soprattutto, ogni volta che una di queste relazioni finiva, nel giro di poco tempo (non più di un mese e mezzo) pur continuando a ripetermi "ora voglio divertirmi, non mi metterò insieme a nessuno per parecchio tempo", ecco, finivo felicemente "ingabbiato". Perfino i rarissimi incontri occasionali sono stati felici e meditati.
E non capisco come sia possibile, se sia fortuna, capacità di accontentarsi, forza di volontà, abilità nel selezionare i "candidati", vattelapesca. Non ho proprio idea. Per il momento non posso che ammettere di avere un grande, grandissimo FONDO.

giovedì 3 marzo 2011

Fai un pensiero felice

Non sono un grande fan di quelle tecniche di autoconvincimento che ci fanno credere che il mondo sia migliore di quello che sembri. Anzi, "è meglio una delusione vera che una gioia finta", come cantava Neffa[1].
Però nei momenti in cui ho i nervi a fior di pelle, la rabbia repressa comincia ad autoalimentarsi e una crisi di nervi è alle porte, quando nessun pensiero razionale può essere d'aiuto, allora è meglio trovare un modo per distrarsi.

«Fai un pensiero felice» mi sono detto. Dopo qualche secondo in cui ho cercato con fatica, mi sono dato una risposta.

«Caramello, caramello

Non ci avrei mai creduto, ma ripeterlo un po' di volte funziona, è rilassante (anche se mi fa venire voglia di ingozzarmi di Mars).


[1]Sì, forse avrei dovuto citare Schopenauer o Leopardi e iniziare un discorso filosofico serissimo. Ma ho voluto risparmiar(v|m)elo.

martedì 1 marzo 2011

Perle di saggezza / 1

In amore siamo come una bistecca alla fiorentina. Deve dorarsi fuori ma deve rimanere un po' cruda dentro; altrimenti, se si cuoce completamente anche al centro, diventa immangiabile.