Mi ritengo, e credo a buon titolo, un "feticista" della scrittura a mano. La mia calligrafia è e sarà sempre solo la mia, unica. E ciò indipendentemente da ogni mio tentativo di renderla più o meno leggibile, più o meno decorativa, più o meno corsiva, più o meno veloce, più o meno riconoscibile, più o meno regolare.
Diciamo innanzitutto che regolare non lo sarà mai, sia per motivi di carattere, sia perché la mia scrittura non è tanto un movimento coordinato dei muscoli, ma più che altro uno spasmo. Le lettere fluiscono dalla matita, o dalla stilografica (biro, non sia mai!) in modo discontinuo. Escono un po' dritte e un po' storte, un po' rotonde e un po' angolose... Ogni tanto sono così belle che sembrano disegnate da un calligrafo. Spesso invece si accartocciano, come se dalla fretta la matita si fosse dimenticata di masticarle bene.
Se c'è una cosa di cui posso essere sicuro, è che la mia scrittura è irrimediabilmente piccola, come se cercasse di nascondersi, come la scrittura di qualcuno che non vuole dirti molto di sé stesso, come se cercasse di sottrarsi alla tua vista, come uno che non vuole rivelarti il minimo dettaglio di ciò che sta pensando. Una persona totalmente opaca verso gli altri, ermetica, una scatola nera.
«Preferisce il montepremi o la scatola nera?»
In questo caso la storia si biforca a seconda della risposta.
«Voglio il montepremi!» «Oh che disdetta! Nella scatola nera c'era... il doppio del montepremi!»
«Voglio la scatola nera!»
Allora la prendi, consegni tutto il montepremi e, convinto di essere stato più intelligente degli autori, la apri, e dentro è vuota.
"Cazzo — pensi — se solo avessi studiato meglio la meccanica quantistica a scuola!"
lunedì 7 febbraio 2011
[2008] Feticista della scrittura a mano
Da un appunto scritto a margine su una scheda di Storia della musica, 2008.
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