domenica 25 dicembre 2011

Buon Natale stocazzo.

Per me il Natale è solo l'occasione per vedere i parenti che non vedo quasi mai, e giustamente, perché mi stanno sul cazzo.

Durante il cenone della veglia (dopo che la predica non richiesta di Bagnasco su Rai 1 mi ha fatto andare di traverso l'antipasto), la cosa meno peggiore è stata vedere il concerto di Natale condotto da Lorena Bianchetti (più il suo sorriso finto come la Sindone (ah, perché voi ci credevate?)), con la partecipazione dei migliori relitti della musica di questi anni. Un Renato Zero reborn-in-Christ, che una volta si vendeva e faceva i triangoli e ora invece canta Grazie Gesù o robaccia del genere; dei Pooh (o meglio, ciò che ne rimane) che producono suoni facendo vibrare i loro noduli; e non sto a fare l'elenco completo perché sarebbe troppo patetico. Per non dimenticare i bambini del Burundi. O i burini del Bambundi, tanto è uguale. Sicuramente meglio che sentire i nonni litigare.

Ad ogni modo, buon stocazzo a tutti voi e buon compleanno a Sir Isaac Newton, l'unico che si merita veramente degli auguri oggi.

lunedì 5 dicembre 2011

La maggioranza ha sempre torto

Ovvero diffida della maggioranza. Il motivo è semplice: resistere alla tentazione della fallacia dell'appello al popolo (fallacia ad populum). Preferisco la prima forma, quella del titolo - da non prendere alla lettera, sia chiaro - perché estremizzare in questo caso aiuta ad interiorizzare meglio. Per un principio di cautela (un principio di cauto pessimismo) è meglio di primo acchito diffidare e successivamente ripensarci piuttosto che fidarsi da subito e rischiare di sbagliare.

sabato 19 novembre 2011

Metteva l'amore. Bug, crash, Italietta

La chiamavano bocca di rosa, metteva l'amore, metteva l'amore.
C'era una volta un piccolo, insignificante concorso pubblico. E c'era una volta un anonimo¬ dipendente pubblico lungimirante, che, temendo che il concorso andasse deserto, ha deciso di pubblicizzarlo. Dall'altra parte c'era un ragazzo che, visto pubblicizzato il concorso, ha pensato di iscriversi, più per interesse personale che altro, visto che si tratta di un lavoretto minuscolo. Per la gloria, diciamo.
Lei lo faceva per passione.
Il ragazzo ha così fatto quello che pensava fosse ovvio fare: seguire le istruzioni alla lettera. Tuttavia, ha involontariamente fatto scattare un "bug" nel concorso, che di conseguenza è "crashato", facendo slittare l'assegnazione, con conseguente piccolo disastro burocratico (e anche organizzativo).
Ma la passione spesso conduce / a soddisfare le proprie voglie / senza indagare se il concupito / ha il cuore libero oppure ha moglie.
Come se non bastasse, ha fatto anche saltare alcuni equilibri diciamo "prestabiliti", dato che solitamente solo gli interessati sanno del concorso (pur essendo visibile al pubblico come tutti i concorsi pubblici; ma nessuno va mai a cercarli).
E fu così che da un giorno all'altro / bocca di rosa si tirò addosso / l'ira funesta delle cagnette / a cui aveva sottratto l'osso.
Morale della favola: il lungimirante dipendente pubblico ha "sfidato il sistema" perché è in una posizione in cui non rischia praticamente niente se non occhiatacce. Il ragazzo invece ha peccato di ingenuità, non immaginando che cosa ci fosse dietro un apparentemente innocuo e insignificante concorso pubblico.
Se non altro, fortunatamente per lui, non ci saranno gendarmi ad accompagnarlo alla stazione.

venerdì 18 novembre 2011

Galileianamente

«Non si dovrebbe parlare male dell'ente pubblico in cui si lavora. Ma si vede che lo faccio perché sono di sinistra. O almeno, prima dicevo di essere di centro, ora pare che io sia di sinistra. Non estrema ma sinistra.»

«Certe volte non siamo noi, ma è il sistema di riferimento a spostarsi.»

mercoledì 16 novembre 2011

"Machiavelli" come CSP (seconda parte)

Nella prima parte ho descritto il problema e l'ho formalizzato in termini di programmazione lineare. Ora manca solo di verificare che funzioni.

Non mi dilungherò in questa parte anche perché è quasi tutto spiegato nel codice e sarebbe inutile spiegare passo-passo come sono arrivato a scriverlo.

Per prima cosa, ho scelto il software. Per il problema di soddisfacimento ho usato GLPK, un risolutore lineare che supporta una sintassi molto flessibile e soprattutto è free. Con questo risultato. L'output non è molto leggibile ma la risoluzione è corretta.

Successivamente ho tradotto tutto in uno script Python che simula una partita di Machiavelli, il computer contro sé stesso, con risultati come questo, di cui pubblico un estratto.
Nota: non avendo molta dimestichezza col Python, il codice potrebbe non essere molto "elegante", diciamo.
(...)

Contenuto del tabellone
A♥ A♠ A♣
Q♥ Q♦ Q♠
6♠ 7♠ 8♠ 9♠ 10♠ 
A♣ 2♣    J♣ Q♣ K♣ 

Turno del giocatore 1
Carte del giocatore 1:
    4♦ 4♦ 4♠ 7♥ 8♣ 8♦ 6♦ 10♥ K♦ 8♣ 3♥ 3♣ 2♥
Il giocatore 1 cala le carte: 3♣
Contenuto del tabellone
A♥ A♠ A♣
Q♥ Q♦ Q♠
6♠ 7♠ 8♠ 9♠ 10♠ 
A♣ 2♣ 3♣    J♣ Q♣ K♣ 

Turno del giocatore 2
Carte del giocatore 2:
    4♥ 5♣ 5♦ 9♦ K♥ 7♥ Q♦ 4♠ 6♣ 2♠ 2♦ J♦ 10♥ K♠ 10♠ J♥
Il giocatore 2 cala le carte: J♦ J♥
Contenuto del tabellone
J♥ J♦ J♣
Q♥ Q♦ Q♠ Q♣
A♥ A♠ A♣
6♠ 7♠ 8♠ 9♠ 10♠ 
A♣ 2♣ 3♣    K♣ 

Turno del giocatore 0
Carte del giocatore 0:
    3♦ 9♥ 8♥ J♥ 6♠ 8♥ 2♠ 5♥ 8♦ 10♦ 7♦ K♦ 5♥
Il giocatore 0 pesca una carta dal mazzo: 4♣

Turno del giocatore 1
Carte del giocatore 1:
    4♦ 4♦ 4♠ 7♥ 8♣ 8♦ 6♦ 10♥ K♦ 8♣ 3♥ 2♥
Il giocatore 1 pesca una carta dal mazzo: 2♥

Turno del giocatore 2
Carte del giocatore 2:
   4♥ 5♣ 5♦ 9♦ K♥ 7♥ Q♦ 4♠ 6♣ 2♠ 2♦ 10♥ K♠ 10♠
Il giocatore 2 cala le carte: K♥ K♠
Contenuto del tabellone
A♥ A♠ A♣
Q♥ Q♦ Q♠ Q♣
J♥ J♦ J♣
K♥ K♠ K♣
6♠ 7♠ 8♠ 9♠ 10♠ 
A♣ 2♣ 3♣

(...)

lunedì 14 novembre 2011

"Machiavelli" come CSP (prima parte)

Quella che sto per scrivere è un'idea che mi è venuta sul water, a Pasqua, tra una partita di Machiavelli e l'altra, e che ho finalmente sviluppato in questi giorni. Cercavo un modo per scrivere un programma che rimettesse a posto il tavolo da solo (ma soprattutto cercavo un meccanismo per capire in anticipo se una certa mossa era possibile o no). All'epoca non conoscevo ancora gli strumenti per risolverlo, finché non mi sono accorto che è un bell'esempio di problema di soddisfacimento dei vincoli (CSP).

Seguendo il percorso dall'inizio alla fine, formulerò il problema prima a parole, poi usando il formalismo matematico e infine lo tradurrò in un programma.

Il modello matematico che ho scelto è quello della programmazione lineare intera. È sempre bene riportarsi a un modello ben notoanche se il problema può essere più complicato da formulare. Per due motivi molto semplici. Da una parte non ho bisogno di scrivere un risolutore da me, perché per questo tipo di problema ne esistono parecchi in circolazione, con un risparmio di tempo notevole; dall'altra parte il "prodotto finale" normalmente è molto più efficiente rispetto a un sistema costruito direttamente "su misura", essendo ben note e studiate anche le ottimizzazioni che si possono applicare. Sembra una regola di buonsenso piuttosto ovvia – e lo è – ma è molto difficile abituarsi a usarla.

Attenzione: questo post contiene una grande quantità di formule matematiche. Se non le visualizzate correttamente, è colpa delle impostazioni del vostro browser (oppure aggiornate il vostro Internet Explorer 5, perdio!). Se non riuscite a capirle, saltatele. Forse il senso del post rimane chiaro.

Prima formulazione, a parole

Il problema, che in questo caso è un sottoproblema del gioco di carte Machiavelli, è il seguente: dato un insieme di carte mescolate sul tavolo, ricostruire un tabellone valido secondo le regole del Machiavelli, se possibile.

Le regole che ci interessano (non tutte le regole del gioco):
  1. Si usano due mazzi di carte francesi senza jolly; alcune di queste saranno sul tavolo.
  2. Ogni carta sul tavolo deve essere coinvolta o in una scala o in un tris/poker:
  3. un tris/poker è un gruppo di 3/4 carte con lo stesso numero ma di seme diverso;
  4. una scala è una sequenza di almeno tre carte contigue dello stesso seme.
  5. Non ci possono essere carte spaiate (discende dalle precedenti tre).
  6. Regola opzionale: sono accettate anche scale continue (cioè scale che contengono la sequenza KA2)

Alcune regole che possono servirci dopo, scritte già in modo "utile":
  1. Un giocatore può calare delle carte aggiungendole al tavolo se, aggiunte quelle carte al tavolo, riesce a disporre le carte secondo una configurazione valida (secondo le 6 regole precedenti).
  2. Dopo aver calato delle carte, il giocatore può terminare il turno.
  3. Se non aggiunge carte al tavolo, il giocatore deve pescare una carta e cedere il turno.

Formalizzazione

Proprio qui entra in gioco l'intuizione che ho avuto sul cesso. Il tabellone può essere codificato come una matrice binaria tridimensionale 4x13x4, formata cioè da quattro tabelle sovrapposte, fatte così:
A234567 8910JQK

Chiamerò ognuna delle 4 tabelle "piano". I piani pari sono per le scale, i dispari per i tris/poker. I primi due piani sono per il primo "mazzo", gli altri due per il secondo "mazzo". Ogni carta può comparire solo una volta in un "mazzo": o in un tris o in una scala (con "mazzo" non intendo il mazzo fisico, ma la coppia di tabelle).

Chiaramente, se si giocasse con un numero diverso di mazzi cambierebbe il numero di piani, che deve essere il doppio del numero dei mazzi, ma il modello sarebbe lo stesso.

In ogni casella della matrice ci sarà un 1 se la carta corrispondente è impegnata in quel piano, 0 se non lo è.

Userò anche una tabella ausiliaria, la "proiezione" dei piani, ottenuta "schiacciando verticalmente" tutti i piani. Ogni casella della proiezione conterrà la somma delle corrispondenti caselle nei 4 piani, ossia il numero di carte che compaiono sul tavolo, per ogni combinazione di numero e seme. La proiezione è l'unica informazione che abbiamo quando il tavolo è completamente scombinato e dobbiamo riordinarlo secondo le regole, pertanto sarà l'input del nostro problema.

Ora, le formule. Chiamato \(x_{i,j,k}\) il valore della matrice per la riga (seme) \(i\), la colonna (numero) \(j\) e il piano \(k\), riscrivo le regole in termini di valori della matrice.

La regola 2 diventa: ci può essere al massimo un 1 nelle caselle che appartengono alla stessa riga, stessa colonna, stesso "mazzo" (coppia di piani). In formule:$$x_{i,j,2m} + x_{i,j,2m+1} \leq 1 \quad (\forall i \in \{0..3\},\ \forall j \in \{0..12\},\ \forall m \in \{0,1\})$$dove \(m\) è il numero del mazzo, che comprende quindi i due piani \(2m\) e \(2m +1\).

La regola 3: nei piani dei tris/poker, la somma degli elementi per ogni colonna può essere solo 0, 3 o 4.
$$\sum_{i=0}^3 x_{i,j,k} = 0 \lor \sum_{i=0}^3 x_{i,j,k} \geq 3 \quad (\forall j \in \{0..12\},\ \forall k \in \{1,3\})$$Scritto così, il vincolo non può essere usato in un risolutore lineare perché contiene un operatore logico. Per rendere questo vincolo lineare, devo introdurre una famiglia di variabili ausiliarie, \(y_{j,k}\), ossia una variabile per ogni colonna dei piani dispari, che deve valere 1 se la somma della colonna corrispondente è diversa da 0 e può valere 0 altrimenti. Tale corrispondenza deve essere garantita da un vincolo (lineare ovviamente). Eccolo:$$y_{j,k} \geq \frac{1}{4}\sum_{i=0}^3 x_{i,j,k} \quad (\forall j \in \{0..12\},\ \forall k \in \{1,3\})$$A questo punto posso riscrivere la regola 3:$$\sum_{i=0}^3 x_{i,j,k}\geq 3y_{i,j} \quad (\forall j \in \{0..12\},\ \forall k \in \{1,3\})$$

La regola 4 è più complessa: nei piani delle scale, per ogni riga, devono valere le seguenti condizioni:
  • per ogni sequenza di tre caselle consecutive, non si può presentare la sequenza 010;
  • per ogni sequenza di quattro caselle consecutive, non si può presentare la sequenza 0110.
Condizioni queste che devono essere valutate considerando ogni riga della tabella estesa con degli 0 a sinistra e a destra, oppure (se si accetta la regola 6, quella delle scale continue) considerando che la riga si ripeta infinitamente.

Come prima, devo formalizzare questa regola come vincolo lineare.
Prima parte:$$(1-x_{i,j-1,k}) + x_{i,j,k} + (1-x_{i,j+1,k}) \neq 3$$ ossia $$-x_{i,j-1,k} + x_{i,j,k} -x_{i,j+1,k} \neq 1$$
Poiché tutte le \(x\) sono variabili binarie, la parte sinistra della diseguaglianza non può mai essere maggiore di 1, quindi riscrivo:$$-x_{i,j-1,k} + x_{i,j,k} -x_{i,j+1,k} \leq 0 \quad (\forall i \in \{0..3\},\ \forall j \in \{0..12\},\ \forall k \in \{0,2\})$$con la seguente sostituzione: \(x_{i,j,k}:=0\) se \(j\lt 0\) o \(j\gt 12\). Altrimenti, se si accetta la regola 6, la sostituzione è \(x_{i,j,k}:=x_{i,j\%12,k}\) dove con \(\%\) indico l'operatore di resto ("modulo").

Analogamente ottengo la formula per la seconda parte della regola:$$-x_{i,j-1,k} + x_{i,j,k} + x_{i,j+1,k} - x_{i,j+2,k} \leq 1$$ $$(\forall i \in \{0..3\},\ \forall j \in \{0..12\},\ \forall k \in \{0,2\})$$con le stesse sostituzioni.

Ora manca solo l'ultima formula, la famiglia di vincoli che lega la matrice alla proiezione (la nostra informazione di partenza): la somma "trasversale" su ogni combinazione di riga e colonna deve essere uguale alla casella analoga nella proiezione. Dette \(c_{i,j}\) le caselle della proiezione, il vincolo è$$\sum_{k=0}^3 x_{i,j,k} = c_{i,j}\quad (\forall i \in \{0..3\},\ \forall j \in \{0..12\})$$

Riepilogo

Costanti
\(c_{i,j} \in \{0..2\},\quad i \in \{0..3\},\ j \in \{0..12\}\)

Variabili
\(x_{i,j,k} \in \{0,1\}, \quad i \in \{0..3\},\ j \in \{0..12\},\ k \in \{0..3\}\)
\(y_{j,k} \in \{0,1\}, \quad j \in \{0..12\},\ k \in \{1,3\}\)

Vincoli
Regola 2:$$x_{i,j,2m} + x_{i,j,2m+1} \leq 1 \quad (\forall i \in \{0..3\},\ \forall j \in \{0..12\},\ \forall m \in \{0,1\})$$
Regola 3:$$y_{j,k} \geq \frac{1}{4}\sum_{i=0}^3 x_{i,j,k} \quad (\forall j \in \{0..12\},\ \forall k \in \{1,3\})$$ $$\sum_{i=0}^3 x_{i,j,k}\geq 3y_{i,j} \quad (\forall j \in \{0..12\},\ \forall k \in \{1,3\})$$
Regola 4: $$-x_{i,j-1,k} + x_{i,j,k} -x_{i,j+1,k} \leq 0$$ $$-x_{i,j-1,k} + x_{i,j,k} + x_{i,j+1,k} - x_{i,j+2,k} \leq 1$$ $$(\forall i \in \{0..3\},\ \forall j \in \{0..12\},\ \forall k \in \{0,2\})$$

Senza regola 6: \(x_{i,j,k}:=0\) se \(j\lt 0\) o \(j\gt 12\).
Con regola 6: \(x_{i,j,k}:=x_{i,j\%12,k}\).

Consistenza:$$\sum_{k=0}^3 x_{i,j,k} = c_{i,j}\quad (\forall i \in \{0..3\},\ \forall j \in \{0..12\})$$

Nella prossima parte mostrerò come questa formulazione si può tradurre in un programma.

domenica 13 novembre 2011

Implicazione

Uno dei concetti della logica matematica (e anche della logica classica) che vengono fraintesi più spesso è l'implicazione. Questa freccina, che di solito viene tradotta con "se... allora", crea sempre molti grattacapi ai nuovi arrivati nel mondo della logica.
Principalmente, gran parte del problema sta nel fatto che leggendo \(A \rightarrow B\) come Se A allora B, intendiamo molto di più di quello che la freccina dice, e scattano dei meccanismi mentali che ci portano fuori strada. Nel linguaggio comune, infatti, dicendo Se A allora B, posso indicare tre concetti diversi:
  1. Causalità. A causa B.
  2. Successione temporale. A precede B.
  3. Implicazione materiale (condizione necessaria). A non si può presentare senza B.[1]
Nella logica matematica, invece, l'unica interpretazione corretta è la 3, e i significati 1 e 2 si perdono. Facciamo qualche esempio.

Se A è "gli asini volano" e B "io sono Lady Gaga", la formula \(A \rightarrow B\) ("se gli asini volano allora io sono il re di Francia") è vera, anche se le due parti sono totalmente scollegate, e non è detto che se gli asini volassero allora io sarei Lady Gaga. Anzi, il fatto che gli asini volino non potrebbe causare in alcun modo il mio essere Lady Gaga. Non c'è nessuna relazione di causalità tra A e B, ma la formula \(A \rightarrow B\) continua ad essere vera.
Lo stesso vale anche quando A e B sono entrambe vere, come in "se Roma è in Italia allora 1+1=2".

Ci sono controesempi simili anche per la successione temporale. "Se nasce un bambino allora c'è stato un concepimento" è un'implicazione vera, anche se l'antecedente (A) è nel presente e il conseguente (B) è nel passato. D'altra parte, se c'è un concepimento non necessariamente nasce un bambino. Questo accade perché il concepimento è solo condizione necessaria ma non sufficiente per la nascita di un bambino.

Per evitare di fraintendere la formula, consiglio sempre di leggere \(A \rightarrow B\) come se fosse \(B \lor \lnot A\) ("B o non A") anche se è meno immediato da capire. Viceversa, tradurre un "se... allora" con un'implicazione è legittimissimo.

Tutta un'altra serie di problemi nasce dalla nostra innata e spiccata capacità di trarre conclusioni a cazzo (gli accademici le chiamano questi ragionamenti paralogismi e gli errori fallacie).

«Come dico sempre: nessun giudizio reale è bianco o nero.»
«Ma tesovo, come sei tranchant, non è mica detto che se un giudizio non è bianco o nero deve essere per forza reale!»
«Che cazzo stai dicendo?»
«Perché odi gli arabi?»
«Secondo te? Chi ha abbattuto le torri gemelle?»
«Ma che cazzo c'entra?»

Di queste, tuttavia, parlerò in un'altra occasione.


[1] Non entrerò nella diatriba filosofica e nella distinzione tra implicazione materiale e implicazione logica. È una distinzione che non serve quasi mai, e soprattutto nella logica "tradizionale" i due concetti sono strettamente legati, tanto da potersi considerare la stessa cosa.

lunedì 7 novembre 2011

Yes I love the international environment and balle varie

Poco più di un anno fa mi era stato proposto di entrare in un programma – di cui non farò il nome – nella mia università, dalla presentazione altisonante, che avrebbe comportato un certo impegno ma con benefici consistenti. L'immancabile trabocchetto era che bisognava passare una rigorosissima¬ selezione in cui metà dei candidati – studenti di diverse facoltà, tutti con medie abbastanza alte – sarebbe stata mandata a casa.

Dopo la "lettera motivazionale" (che per me è stata un parto plurigemellare) bisognava fare un colloquio individuale – in inglese – con il responsabile di questo progetto.
Nella sala d'aspetto c'erano una trentina di ragazzi, nessuno dei quali era veramente motivato a unirsi per amore del progetto o dei suoi corsi, e alcuni non erano nemmeno delle cime (ma questo magari lo dico solo per cattiveria). Quasi nessuno, inoltre, aveva la più pallida idea di quali fossero i corsi, che era una delle cose che venivano chieste al colloquio, nella forma di un ruffianissimo "Quale dei nostri corsi ti ha incuriosito di più?". Io, modestamente, una letta al programma me l'ero data, così ho potuto sparare un paio di titoli a caso.

Il resto del colloquio sembrava promettente. Mi sono sentito perfino quasi a mio agio, quando in risposta a una domanda ho detto che non avevo intenzione di andare all'estero all'ultimo anno – cosa che sapevo non essere vista di buon occhio, perché rischiava di interferire col programma.

Risultato: non sono stato preso. (Altrimenti non sarei qui a lamentarmene.) Eppure la lettera motivazionale era da A+, come ho visto sul foglio che c'era sulla scrivania dell'esaminatore, e la mia media era delle più alte. Non saprò mai il vero motivo della mia esclusione, il che aggiunge frustrazione alla frustrazione. Posso solo azzardare qualche ipotesi, dopo mesi e mesi che mi ci sono arrovellato.
Forse mi sono esposto troppo quando ho detto che i titoli dei corsi secondo me non erano abbastanza rappresentativi del contenuto (in realtà stavo pensando che i corsi facevano pisciare il culo, ma questa parte non l'ho data a vedere); forse sono sembrato superficiale quando ho lasciato intendere che la maggior parte del mio entusiasmo fosse per le lezioni in inglese e per l'"ambiente internazionale".

Forse – ed è più probabile – non ho leccato abbastanza diligentemente il culo. Correggetemi se sbaglio.

domenica 6 novembre 2011

Essere schietti paga (statisticamente)

Lo dico per esperienza: essere diretti, senza tanti giri di parole ma soprattutto parlare quando c'è un problema, anziché rispondere con ripicche o tacere finché il problema non diventa ingestibile.

Solo qualche volta essere diretti e senza filtro (non nel senso di dire tutto ciò che passa per la testa ma nel senso di non nascondere le proprie opinioni) non è la scelta migliore – l'ideale sarebbe riuscire a capire quando è bene esserlo e quando no – tuttavia in media essere schietti paga.


D'altra parte ci sono quelli che ripetono:

«Io le cose le dico in faccia» LALLERO!

Quante volte sento ripetere questa frase! Ma soprattutto, quante volte chi la pronuncia sa essere schietto solo a parole! Alcuni affermano di essere sempre diretti e poi quando c''è un problema si tirano indietro e anzi sono gli ultimi a prendere la parola.

mercoledì 26 ottobre 2011

Non con troppa calma

Visto che temevo di avere troppo tempo libero in questo semestre, ho ben pensato di trovare lavoro come tutor di laboratorio in uno di quei corsi di informatica per matricole. In pratica, non soddisfatto del tempo che già mi prende l'università, ho deciso di farmi fagocitare del tutto.

Stava andando tutto egregiamente, quando a 20 minuti dalla fine succede l'inaspettato: scatta l'allarme incendio. Sulle prime non me n'ero neanche accorto, finché un ragazzo non ha gridato «L'allarme incendio!» col chiaro intento di fare un omaggio a La Palice. Dannazione, non avevo ancora ripassato il piano d'emergenza!

Dopo un paio di minuti è partita la sirena vera e propria, quella che ti fa capire, col dolore fisico, che è il caso di uscire. E così mi sono trovato a dover mettere fretta agli studenti che ci stavano impiegando troppo: «Non con troppa calma. Evacuare, su!», con tono serissimo, faccia cattiva e un pizzico di disappunto (ho dato il mio meglio, non c'è che dire). Ossia quella che usavo per nascondere il terrore che avevo addosso, dacché sapevo benissimo che non sono programmate esercitazioni in questo periodo.
Si verrà a scoprire, una volta tornati alla normalità, che si trattava di un vero falso allarme, fatto scattare inavvertitamente da un tecnico (come? non ci è dato sapere).

Non male, come primo giorno di lavoro.

lunedì 24 ottobre 2011

Fugerit invida aetas

Ci stavo pensando in questi ultimi giorni. Sarà che il cambio di stagione improvviso mi ha ricordato che non ho una salute indistruttibile e che questa non durerà molto; sia come sia, ho fatto questa considerazione, una sorta di folgorazione in dormiveglia.

Penso di essere uno dei pochi della mia compagnia che il giorno del suo compleanno non ha dimostrato un malcelato imbarazzo per essere davanti alla prova che un altro anno è terminato. Mi spiego meglio. Alcuni miei amici si sono tolti degli anni («Quanti anni compi?» «20... per l'ottava volta»), altri quasi si strappavano i capelli dalla frustrazione («Oddio! *** anni! Da qui ai 30 è un attimo! E poi per i 40 è tutto in discesa! Sono a un passo dalla tomba! Volevo rimanere teenager!»), altri si sono limitati a un'espressione eloquente, come per dire "Eh, che ci posso fare? sono vecchio".

Io invece – con una punta di superbia, lo ammetto – non ho neanche sentito il bisogno di scherzarci sopra. Anzi, nell'ultimo periodo mi sono trovato a pensare cose come "Non vedo l'ora di avere 25 anni, solo per il gusto di poterlo dire!". Forse dopo 4 anni di università and counting mi sono rotto e spero di cambiare vita al più presto. Più probabilmente è perché la mia vita, almeno negli ultimi 5-6 anni, a parte brevi frenate è stata un miglioramento continuo. Non ho nessun motivo di voler tornare indietro e non rimpiango nulla della mia adolescenza (piuttosto, l'ho cancellata); al contrario, sono ansioso di andare avanti. Non mi spaventa il tempo che passa, non mi spaventano i capelli che cadono né mi spaventa sentirmi chiamare per quello che sono.

Dirò un'eresia ma... temo di essere diventato ottimista.

domenica 23 ottobre 2011

Vel

Più persone conosco, più storie mi raccontano, più mi convinco di questa cosa: un uomo non può non essere stronzo o complessato. Ossia, se un uomo non è stronzo, allora deve essere per forza complessato, e viceversa se non è complessato allora deve essere stronzo, ma in ogni caso deve essere almeno una delle due cose.
(In simboli, la formula \(\forall x: (Uomo(x) \implies Stronzo(x) \lor Complessato(x))\) è vera in questo mondo. (Scusate ma dovevo soddisfare la mia assuefazione alla logica.))

Ci sono pure i complessati stronzi, ma non li ho ancora approfonditi.

Vale anche se consideriamo le vie di mezzo (con una logica sfumata): tanto meno uno è stronzo, tanto più deve essere complessato, e viceversa.

Quindi, donne, siete avvertite. Se trovate un uomo che vi sembra perfetto, molto sicuro di sé, che non ha incertezze, che non si fa mai prendere dall'imbarazzo o dal panico, eccetera, state ben attente: non lo dimostrerà subito, ma si tratta di uno stronzo.

lunedì 17 ottobre 2011

La tisana della nonna fa venire una gran diarrea

Odio la saggezza popolare. La rifiuto. Così come rifiuto l'appello alla tradizione, al "si è sempre fatto così", al "mio padre/mia madre/mio zio/io mio gatto mi diceva sempre" e chi ritiene queste cose infallibili.

La saggezza popolare è un mito perché il popolo non è saggio (vedi La maggioranza ha sempre torto), ma è stupido. Evidentemente ragionare con la propria testa è molto difficile, vista la quantità di persone che non sa ripetere che frasi sentite da qualcun altro.

Sarebbe un problema minimo se non fosse che spesso i contenuti sono pure falsi. Se qualche volta la saggezza popolare ci azzecca è solo perché a sparare nel mucchio ogni tanto ci si prende.

mercoledì 24 agosto 2011

La signora della plastica

Ultimamente, quando accompagno Mia a casa a tarda notte, ci siamo imbattuti almeno un paio di volte con questa figura, che compare dal nulla, silenziosamente, e si porta via i sacchi della plastica che stanno sul marciapiedi.

La prima volta l'abbiamo guardata con espressione allarmata e lei ci ha rassicurati: «Non vi preoccupate. Sto solo vrpvtvpltplando brtlrbp.» (Non abbiamo osato chiederle di ripetere.)

Stanotte l'abbiamo vista arrivare con una macchina col portellone aperto. Con calma, aveva già ripulito tutta la vietta. Che cosa se ne farà della plastica che raccoglie? (Lo scoprirete in questa puntata di Voyager. Ma anche no.)

giovedì 30 giugno 2011

Dovrebbero fare tutti come fate voi

Ieri pomeriggio rivedevo il mio ragazzo, appena tornato dopo venti giorni passati in "patria". Mi sembrava quindi normale, appena ci siamo incontrati davanti alla stazione, abbracciarlo e baciarlo calorosamente. Subito dopo ci stavamo spostando verso l'altra parte della piazza quando un tizio pelato di mezz'età che veniva dalla direzione opposta, senza neanche fermarsi ci guarda e ci fa: «Bravi! Dovrebbero fare tutti come fate voi
Come lasciava intendere il tono da Enzo Miccio (o Alfonso Signorini, a seconda dei punti di vista) non era affatto ironico.

Infatti ripensandoci, molte cose che ora mi sembrano perfettamente normali (o quasi, dato che un po' di imbarazzo ancora mi rimane) fino a pochissimi anni fa le avrei dette impensabili. Peccato che lo siano tuttora per molti che pure si dicono aperti e coraggiosi.

domenica 19 giugno 2011

Razionalizzazione

Essere razionali è bello, ha un fottio di vantaggi, è dispendioso ma dà un casino di soddisfazione, eccetera eccetera, come dico sempre. Ancora meglio è essere scettici. Mi sento perplesso ergo sum.

Ma la questione è un'altra. Il problema è che la mente umana è stupida. Tutte queste belle cose infatti hanno un prezzo, considerando che la parte centrale del nostro cervello l'abbiamo in eredità dai nostri antenati selvatici, e tutto l'apparato che ci rende razionali e autocoscienti è obbligato a interfacciarsi con essa.

Così, quando uno esagera con la razionalità, sperimenta questo curioso "bug": ha una sensazione – magari completamente ingiustificata, illogica, assurda, dettata da una qualsiasi forza inconscia – ma non la percepisce come tale, anzi è convinto di scoprirla come conclusione di un ragionamento. Crede di averne le prove quando in realtà questa "conclusione" era già nella sua mente ancora prima di cercarle.

È un cortocircuito perverso: uno che cerca di essere il più possibile razionale può finire per ottenere proprio ciò che vuole evitare, il prevalere dell'"istinto".

Quel che è peggio è che, pur conoscendo il meccanismo, la "razionalizzazione" è inevitabile. Anche i ragionamenti che sembrano più lucidi possono essere affetti da questo errore. Ci si può far venire dubbi su dubbi, si può dubitare di qualsiasi nostro ragionamento, cominciando da quelli apparentemente più convincenti, si può dubitare dell'ovvio, dell'evidente, si può dubitare dei propri dubbi – e tutto questo è estremamente zen – ottenendo poco o niente. Ognuno sarà comunque vittima della stupidità della propria mente, prima o poi.

lunedì 23 maggio 2011

La Pipeline

«Mia, perché non te ne trovi un altro con meno problemi?»
«No, sarebbe troppo sbatti trovarne un altro, corteggiarlo... passerebbero almeno tre settimane, un mese. Non voglio mica fare la figura di quella che la dà via subito. Questo non sarà l'amore della mia vita ma almeno arrivo a casa sua e trombiamo diretti.»
«Va be', ma non significa che nel frattempo non puoi guardarti intorno. Puoi fare una pipeline
«Eh?»
«Mentre con quello che hai fai arf arf, ti guardi intorno, ne trovi uno nuovo ed entri nella fase "cominciamo a conoscerci". La settimana dopo, con quello che era in fase "cominciamo a conoscerci" entri in fase "corteggiamento" e allo stesso tempo ne trovi un altro che cominci a conoscere. La terza settimana avrai scaricato quello con cui facevi arf arf all'inizio, avrai finito di corteggiare quello della settimana prima e farai arf arf con lui, entri nel corteggiamento con quello che era in fase "cominciamo a conoscerci", ne trovi un altro che comincerai a conoscere e così via. Così non perdi tempo e ne hai sempre uno pronto con cui fare arf arf


È ingegneria del corteggiamento.

martedì 10 maggio 2011

Logorrea ereditaria

So da chi ho preso questo mio difetto che, quando sono su di giri, mi rende ciarliero fino all'insopportabile: mia madre. La differenza è che lei quando è in questa fase "maniacale" oltre che logorroica diventa inopportuna.

Ad esempio, stavo guardando il video di un corso di Svedese con mia sorella e ci stavamo concentrando sulla pronuncia, quando sul più bello madre si intromette e comincia a raccontarci entusiasta del corso che aveva appena seguito e di altre cose che non vedevamo l'ora di sapere¬. La freno, ma lei continua. Mi innervosisco, insisto, le chiedo di aspettare un attimo, un attimo solo, giusto il tempo di finire il video. Lo riavvio e dopo qualche secondo madre accende la televisione a tutto volume, proprio mentre eravamo arrivati allo stesso punto di prima, il punto più complicato, quando la tizia spiegava la parola più difficile di quella lezione. Madre poteva aspettare due minuti e avrebbe avuto tutta la nostra attenzione, invece non ha saputo trattenersi.
Altre volte proprio si intromette nei discorsi, a tradimento. Il lato divertente è che sembra che lo faccia apposta. Quando c'è silenzio non apre bocca; poi, appena qualcuno comincia un discorso o si mette ad ascoltare qualcosa, lo interrompe.

Ebbene, anch'io quando sono in "fase ipomaniacale" non so trattenermi dal parlare. (Già normalmente, chiedermi "come va" è un rischio, perché potrei prendere a raccontare a ritroso la storia della mia vita.) Attacco bottone a tutti quelli che hanno la sventura di capitarmi a tiro. Con questa scusa finisco anche per contattare amici che non sentivo da tempo, e mi metto a fare battute talvolta un po' troppo schiette, insomma, finisco per dire tutto quello che penso anche quando non è il caso di farlo, anche cose che da "sobrio" non direi mai. Spesso infatti mi chiedono se ho bevuto o mi prendono direttamente per drogato. Spero almeno di non essere inopportuno come mia madre. Meglio drogato che inopportuno.

lunedì 9 maggio 2011

Il cilindro, la sfera, il cono

La compagnia con cui esco più spesso, pur essendo un'entità in continua evoluzione e talvolta ineffabile, ha alcune regole non-scritte ma precise, stabilite con la semplice consuetudine. Più tempo passa (o meglio, più casini vedo capitare) più la struttura mi si delinea con precisione. Alcune di queste regole non mi piacciono, non le condivido, però non posso evitare di notarle, soprattutto la gerarchia.

Attenzione: il testo seguente contiene formule logiche. Chi non sia in grado di leggerle può benissimo ignorarle e capire il senso del discorso.

Possiamo dire che la gerarchia è "sferica"1, con al centro l'organizzatore dell'uscita, che chiamerò \(c\) e che può cambiare di volta in volta. Idealmente, gli invitati si decidono con la regola della sfera: fissata la sfera, tutti quelli che stanno dentro la sfera devono essere invitati e nessuno di quelli che sta fuori dalla sfera deve essere invitato. In altre parole, se invito \(x\) allora non posso non invitare tutti quelli che stanno più vicini all'organizzatore di \(x\).
In simboli:
$$\forall x : (invitato(x) \implies \forall y : (d(c, y) \le d(c, x) \implies invitato(y)))$$
Nella realtà dei fatti ciò non sempre accade. Se l'organizzatore invita \(x\) ma non invita \(y\) che è più vicino all'organizzatore di \(x\), allora \(y\) si incazza:
$$\forall x : (\lnot invitato(x) \land \exists y : (invitato(y) \land d(c, y) \lt d(c, x)) \implies incazzato(x)) $$
Non considero il caso di chi dice di non incazzarsi se i suoi amici non lo invitano perché è clamorosamente falso.

Le cose si complicano se l'organizzatore è subdolo. In tal caso, se chi non viene invitato non ha modo di saperlo, cioè nessuno degli invitati avvisa sicuramente uno degli esclusi, non c'è nessun problema. La formula diventa la seguente:

\(
\begin{align}
\forall x : & (
invitato(x) \implies \forall y : (
(
d(c, y) \le d(c, x) \land (
subdolo(c) \implies \\ & \lnot \exists z : (
invitato(z) \land informaSicuramente(z, y)
)
)
\implies invitato(y)
)
)
)
\end{align}\)


Parallelamente, se uno non sa di essere stato escluso ingiustamente, non si incazza:

\(
\begin{align}
\forall x : & (\lnot invitato(x) \land \exists y : (invitato(y) \land d(c, y) \lt d(c, x)) \land \\
& \exists z : (invitato(z) \land informaSicuramente(z, y))
\implies incazzato(x))
\end{align}
\)


Invece, se l'organizzatore è totalmente stronzo, non tiene in considerazione niente e nessuno e invita chi gli pare. Così posso raffinare la formula:

\(
\begin{align}
\lnot & stronzo(c) \implies \forall x : (
invitato(x) \implies \forall y : (
(
d(c, y) \le d(c, x) \land (
subdolo(c) \\ & \implies \lnot \exists z : (
invitato(z) \land avvisaSicuramente(z, y)
)
)
\implies invitato(y)
)
)
)
\end{align}\)


Il tutto diventa ancora più complicato se consideriamo che la "distanza" è abbastanza soggettiva, cioè \(d(x, y)\) e \(d(y, x)\) indicano cose diverse; tuttavia nella compagnia c'è abbastanza regolarità e quindi ognuno sa piuttosto precisamente quanto è considerato dall'organizzatore, con l'eccezione di quando questa "distanza" varia bruscamente, e questa è una delle ragioni per cui si creano casini.

Ci sarebbero altre sottigliezze da considerare; alcune sarebbero troppo complicate da formalizzare in questo modello, altre potrebbero essere oggetto di qualche post in futuro, come ad esempio le conseguenze di essere totalmente stronzo oppure cosa succede quando qualcuno scopre che un suo amico è subdolo.



1 Più precisamente, la gerarchia è uno spazio metrico i cui elementi sono gli individui e la cui definizione di distanza rispetta le formule di cui sopra.

domenica 8 maggio 2011

Lezioni

La mia saggezza quasi infinita non mi ha ancora insegnato a riconoscere quali rapporti sociali vale la pena coltivare e quali lasciar perdere. In questo campo, accumulare una manciata di punti esperienza significa fare necessariamente il pieno di punti amarezza, col risultato che – almeno temporaneamente – divento molto meno cauto e molto più pessimista.

Dagli errori si impara. (O almeno, si dovrebbe, ma quello di chi non è capace di imparare dai propri errori è tutto un altro discorso.) Da poco ho realizzato di aver sprecato tempo e pazienza per impedire che mi venisse tolto qualcosa che già avevo perso. Mi è capitato di vivere la stessa situazione da carnefice, da vittima e da spettatore, e mi sono trovato a dar ragione a chi, solo da vittima o solo da spettatore, aveva già capito tutto, mentre io non gli credevo, o peggio, minimizzavo.

Ho compreso che non si può pretendere la confidenza (così come l'amicizia), né ha senso insistere per riaverla quando ci viene deliberatamente tolta. Anche quando rinunciare significa darla vinta a chi vuole allontanarci, per quanto spregevole o stupida la sua intenzione, è inutile farsi prendere dall'orgoglio: l'orgoglio uccide. A quel punto si perde in ogni caso. Del resto è inutile attaccarsi a qualcosa che, per qualsiasi motivo, ci è stato sottratto; non ha senso. L'errore semmai è a monte: aspettarsi all'inizio più di quanto ci si possa aspettare, puntare su qualcuno con cui non sarà possibile instaurare una reciprocità, o perché incapace o perché addirittura non crede nella reciprocità di trattamento.

Sarebbe molto più facile capire da subito quando sia il caso di frenare l'entusiasmo, così da concentrarsi solo sulle persone giuste, ma la mia saggezza quasi infinita non me l'ha ancora insegnato.

sabato 7 maggio 2011

Zanzare

È il caso di bonificare il giardino. Prendere il sole a quest'ora è imposibile.

Le zanzare tigre sono stronze. Pungono sia di notte che di giorno. Sono meno rumorose e più piccole delle loro cugine europee. Volano a caso non perché sono rincoglionite ma proprio perché sono stronze, così non si fanno beccare. Evitano la luce solare diretta; escono dall'ombra - dove è più difficile vederle - solo per attaccare.

E sono sicuramente più furbe di me che sto passando il tempo a fissarle.

martedì 19 aprile 2011

Intermezzo: Notturno.

Andante quasi adagio. Mezzopiano. Ferma in tutte le stazioni.

Attraversare l'ultimo treno di notte è come camminare in un'astronave. Un corridoio lunghissimo, illuminato a giorno, quasi completamente deserto, con l'eccezione dei pochissimi passeggeri, tutti addormentati, capotreno compreso. Un ambiente alieno. E tuttavia all'improvviso mi sento a casa.

Passeggio in piena notte tra le strade scure e deserte della cittadina di provincia, con la musica nelle orecchie, e mi sento al sicuro. Le poche persone che incrocio vanno ognuna per la sua strada, ignorandosi l'un l'altra, tuttavia condividendo in quel preciso momento la stessa storia, come in un libro di Calvino. La strada ormai ha un aspetto caldo, familiare. Mi sento fuori dal mondo ma allo stesso tempo sua parte integrante.

Ovunque io vada mi sento straniero, alieno. Proprio per questo mi sento sempre a casa.

giovedì 31 marzo 2011

Premessa

Con questo post intendo iniziare una lunga serie di articoli sullo spirito critico e sulla razionalità, dai problemi quotidiani alle questioni esistenziali, elementi alla base della mia filosofia di vita.
È un'idea che avevo da tempo nel cassetto – un'idea che mi è venuta ancora prima di aprire un blog – ma che non si è ancora tradotta in un risultato leggibile. Ogni tentativo finiva cestinato per qualche motivo, o perché mi sembrava troppo didascalico, o troppo colloquiale, o perfino moralista in alcuni momenti. Un giorno ho addirittura tracciato un grafo delle dipendenze tra i concetti per ricavarne un ordinamento topologico – ovviamente senza successo. (Spero che questa sia la volta buona.)
Non è il mio obiettivo scrivere un trattato di logica o di filosofia, ma solo raccontare come ho costruito il mio personale approccio alla vita, che almeno nel mio caso sembra aver dato ottimi risultati, e magari dare dei buoni consigli ai lettori – un obiettivo alquanto pretenzioso, lo ammetto.

Forse è il caso che comincio dall'inizio e vado con ordine. Per ora, solo un assaggio.

Userò la parola razionalità piuttosto impropriamente per indicare da una parte tutto un insieme di capacità di cui molti esseri umani – se non tutti – sono dotati, dall'altra l'insieme di atteggiamenti con cui queste abilità vengono messe in pratica. (Infatti non tutti coloro che ne sono dotati le usano, ma di questo parlerò un altro giorno.) Una di queste è lo spirito (auto)critico, cioè la capacità (e l'abitudine) di mettere in discussione le informazioni che ci arrivano e anche le nostre stesse convinzioni – in parole povere, l'abitudine a farsi sempre delle domande e la flessibilità di cambiare idea qualora sia il momento di farlo.
Seguono le abilità logiche, quelle che ci permettono di ragionare, nel senso più "matematico" del termine. Aggiungerei sotto questo enorme cappello della "razionalità" anche la curiosità (fondamentale per uno spirito critico), la ragionevolezza intesa come equilibrio (e quel poco di freddezza sufficiente ad essere critici) e la conoscenza di sé e in particolare dei propri limiti. Con un po' di capacità di proiettarsi nel lungo termine raggiungiamo praticamente la perfezione, ma non è necessario essere perfetti per essere razionali.

Nella prossima parte, spiegherò cosa rende importante secondo me essere razionali e soprattutto come essere razionali non impedisca di essere felici (l'opposto della scuola di pensiero "Trapaniamoci il cervello").

(Rileggendo il post mi sembra di essere stato un po' manualistico... ma non ho voglia di cestinare anche questo tentativo.)

domenica 27 marzo 2011

Approssimativamente

Fino a pochi mesi fa, da bravo perfezionista, ho sempre visto le approssimazioni come una sorta di affronto a una presunta Verità perfetta, irraggiungibile, ma dalla quale allontanarsi è peccato. Il timore di perdere una minima parte di informazione mi assaliva davanti a ogni arrotondamento. (Ovviamente non sto parlando solo di numeri, è una metafora – sì, lo so, è brutto segnalare una metafora, il lettore dovrebbe riconoscerla da solo, ma non confido così tanto nel genere umano.)

Devo ringraziare l'ingegneria e le scienze "inesatte"[1] per avermi insegnato che non solo l'approssimazione è necessaria (fosse solo questo, continuerei a considerarla un peccato veniale, che ogni volta richiede un atto di penitenza), ma spesso è buona: ci semplifica la vita senza impedirci di raggiungere l'obiettivo. L'importante è saper gestire l'errore, quindi conoscerlo e prevederlo – e qui sta la difficoltà, ma è tutta un'altra storia.

Meglio ancora: in alcuni casi l'approssimazione non ci fa perdere proprio niente, perché cancella una parte di informazione che non abbiamo mai avuto. Spesso infatti ci sembra di essere più precisi di quanto ci possiamo permettere con gli strumenti che abbiamo. Proprio qui volevo arrivare. Noi umani tendiamo a sopravvalutare la nostra conoscenza, la nostra percezione del mondo. Il nostro orgoglio (chiamatelo come volete), stupidamente, ci impedisce di sospendere il giudizio, quando non abbiamo abbastanza informazioni.
Possiamo vederlo come un errore sulla nostra precisione, un'approssimazione della nostra capacità di approssimare, in pratica un errore di approssimazione del nostro errore di approssimazione... Ok, è meglio se mi fermo qua.

Ad ogni modo, è solo una questione di atteggiamento; basta veramente poco, talvolta. Basta un minimo di accortezza, basta conoscere minimamente i propri limiti, farsi qualche domanda in più. Però, come sto maturando in questi anni, la gente è scema – detto molto terra-terra – oppure, per dirlo in modo più fine, "la media è veramente bassa".



[1] Cioè tutte, da un certo punto di vista, ma non voglio aprire una questione filosofica dentro un'altra questione filosofica

giovedì 24 marzo 2011

Alienazione

Negli ultimi giorni, ogni mattina mi sveglio e mi sembra di essere in un universo parallelo, quasi del tutto simile a quello in cui sono nato, ma con la differenza che non capisco un cazzo. L'Italiano mi sembra una lingua strana, che fatico a seguire. Sorrido e annuisco. Mi metto a dire cose senza senso, perdo sempre il filo del discorso. Prima di attraversare un incrocio è già tanto se mi ricordo di guardare a sinistra e a destra. Sento di non controllare perfettamente la mia mente (come se normalmente fosse possibile¬).
Ho smesso di soffrire di insonnia. (Ormai non mi riconosco più.) Ma ho due occhiaie enormi. Forse sono loro ad essersi impossessate della mia mente. Al tempo stesso mi conferiscono una specie di aura di saggezza. Come una sorta di saggio cinese, però con le occhiaie al posto del pizzetto.
Sarà una specie di deficit d'attenzione. Sarà la vecchiaia. Sarà l'Illuminazione che si annuncia prima di arrivare. Forse ho assimilato troppe informazioni in questo periodo, forse è il caso che per qualche giorno smetto di parlare, leggere e scrivere e creo il vuoto nella mia mente. E magari mi piazzo sotto un albero di ficus religiosa, ci rimango per qualche mese, poi dico di aver raggiunto il bodhi e vado a fare il santone.

mercoledì 9 marzo 2011

Si chiama culo.


Post scritto il 2 marzo 2011 con l'intenzione di pubblicarlo in seguito.


Non saprei in che altro modo chiamarlo. Vedo i miei amici che fanno una fatica estrema a trovare non dico l'anima gemella, ma anche solo un qualcuno con cui stare bene e condividere una parte del proprio tempo, il proprio bisogno di affetto, eccetera, e spesso quando lo trovano finisce che sorgono ogni giorno nuovi problemi. Io invece ho avuto solo relazioni serie, lunghissime e soprattutto, ogni volta che una di queste relazioni finiva, nel giro di poco tempo (non più di un mese e mezzo) pur continuando a ripetermi "ora voglio divertirmi, non mi metterò insieme a nessuno per parecchio tempo", ecco, finivo felicemente "ingabbiato". Perfino i rarissimi incontri occasionali sono stati felici e meditati.
E non capisco come sia possibile, se sia fortuna, capacità di accontentarsi, forza di volontà, abilità nel selezionare i "candidati", vattelapesca. Non ho proprio idea. Per il momento non posso che ammettere di avere un grande, grandissimo FONDO.

giovedì 3 marzo 2011

Fai un pensiero felice

Non sono un grande fan di quelle tecniche di autoconvincimento che ci fanno credere che il mondo sia migliore di quello che sembri. Anzi, "è meglio una delusione vera che una gioia finta", come cantava Neffa[1].
Però nei momenti in cui ho i nervi a fior di pelle, la rabbia repressa comincia ad autoalimentarsi e una crisi di nervi è alle porte, quando nessun pensiero razionale può essere d'aiuto, allora è meglio trovare un modo per distrarsi.

«Fai un pensiero felice» mi sono detto. Dopo qualche secondo in cui ho cercato con fatica, mi sono dato una risposta.

«Caramello, caramello

Non ci avrei mai creduto, ma ripeterlo un po' di volte funziona, è rilassante (anche se mi fa venire voglia di ingozzarmi di Mars).


[1]Sì, forse avrei dovuto citare Schopenauer o Leopardi e iniziare un discorso filosofico serissimo. Ma ho voluto risparmiar(v|m)elo.

martedì 1 marzo 2011

Perle di saggezza / 1

In amore siamo come una bistecca alla fiorentina. Deve dorarsi fuori ma deve rimanere un po' cruda dentro; altrimenti, se si cuoce completamente anche al centro, diventa immangiabile.

lunedì 28 febbraio 2011

My loneliness is killing me

Inizia come una sorta di telegiornale. Sfondo marittimo di non so dove; in primo piano il giornalista che intervista un tizio che a breve riceverà un qualche riconoscimento, non importa e non ricordo quale.
Subito dopo, siamo nel salone del municipio (di non so dove). Un'orchestra suona un Concerto Brandeburghese di Bach. Non riesco ad evitare di canticchiare a bassa voce, e gli spettatori della fila davanti alla mia si girano e mi tirano un'occhiataccia. Mia sorella, che è seduta dietro di me, si mette a chiacchierare ad alta voce, cosa che mi fa innervosire parecchio poiché l'orchestra stava ancora suonando.

Finito il brano, sento dire che è il turno di mia madre, che interviene in qualità di partecipante ad un concorso di "musica bohémienne", qualsiasi cosa sia, come cantante e paroliera. Sono un po' imbarazzato: mia madre non è mai stata molto brava a cantare. La sua è una cover di una canzone famosa, ma il fonico sbaglia più volte la base. Prima mette I Want It That Way dei Backstreet Boys, ma mia madre si accorge subito che il testo non si adatta al ritmo della musica e fa un gesto al fonico. È un po' confusa. Io, non so come, ho in mano una fotocopia del testo della canzone. (Peccato che non me lo ricordi, ma comunque non era un granché.)
Il fonico tenta di nuovo con una canzone di Madonna, ma non ricordo quale. Non va neanche quella. Ultimo tentativo: One More Time di Britney Spears. Leggendo il testo (che nel frattempo è cambiato e soprattuto è passato dal Times New Roman all'Arial) mi sembra quella giusta, principalmente perché mi accorgo proprio in quel momento che ci sono anche le onomatopee dell'intro.

La sveglia mi interrompe prima di gustarmi la performance di mia madre, con la conseguenza di farmi alzare dal letto canticchiando #my loneliness is killing me#...

venerdì 25 febbraio 2011

Tremate, tremate

La Strega è un individuo meschino, di una cattiveria fuori dal comune. Del tutto incapace di provare empatia, la sua unica gioia sta nell'assistere alle disgrazie altrui. Non solo: la Strega non può mai essere felice. Questo fatto la rende invidiosa delle persone normali e la frustra a tal punto che il suo passatempo preferito ormai è cercare ogni volta un modo diverso e più efficace per sottrarre la felicità agli altri, per cancellarla, eliminarla, annientarla.
Quando conosci la Strega, lei cerca di entrare in confidenza con te, e quando ci riesce si impossessa della tua felicità. Ti basterà anche solo pensare alla Strega e tutta la felicità che starai provando in quel momento, non importa quanta sarà, svanirà immediatamente, lasciando lo spazio dapprima alla desolazione e infine all'ira accecante verso di lei. Ira che non si sfogherà mai, poiché la strega, soddisfatta, si sarà già ritirata nel suo antro, scomparendo dalla tua vita ma non dalla tua mente.

domenica 13 febbraio 2011

Orrori da gustare — Una storia di agghiacciante superficialità

È avvenuto realmente poche ore fa a casa mia, ad una tavolata di parenti.

Tutto è partito da una notizia banalissima (spero di riportarla correttamente): in un qualche aeroporto di Milano hanno dovuto catturare dei conigli selvatici perché si trovavano sulla pista, ma per le proteste degli animalisti non hanno potuto abbatterli ma li hanno semplicemente catturati e portati da un’altra parte, dove non avrebbero fatto danni.

Mio nonno materno e il compagno di mia nonna paterna si sono quindi scambiati delle battute dapprima critiche fino a diventare agghiaccianti.

«Ah questi animalisti, non hanno nulla da fare.»
«Dovevano ignorarli e sparare ai conigli.»
«No, dovevano sparare direttamente agli animalisti.»
«Ah, se c'era il tuo amico...!» (ossia Mussolini)
«Lui sì che sapeva mantenere l'ordine!»

Fino a poco tempo fa avrei ignorato una situazione del genere, mi sarei controllato per non creare tragedie familiari, ma questa volta proprio non sono riuscito a trattenermi e ho sbottato.
«Meno male che non c'è più! Vivaddio che non c'è più! Altrimenti saremmo rovinati!»

Nonna materna: «Ma cosa stai dicendo, sai benissimo che per lui è una figura sacra, che ci tiene tanto, e dovresti rispettare le sue convinzioni. Mussolini ha fatto anche molto bene al Paese.»

«Ah sì? Ma sapete veramente come faceva a mantenere l'ordine? Se uno non era d'accordo con lui, ad essere fortunato lo spediva in un'isoletta scollegato dal mondo, altrimenti lo faceva pestare a sangue oppure lo mandava direttamente sotto terra.»

Compagno della nonna: «Ma cosa ne sai tu che non eri ancora nato!»

«Forse ne so io di più che non ero ancora nato ma ho studiato la storia di te che avevi cinque anni.»

Il compagno della nonna mette fine alla discussione dicendo, in parole povere, che non gli piace toccare l'argomento per evitare di litigare a tavola.

Subito dopo il dolce, non contenti, gli stessi due vecchi di prima si fanno prendere da un accesso di populismo forcaiolo. Si parlava di un conoscente che si è suicidato impiccandosi.

Madre: «Quando uno vuole suicidarsi, alla fine ci riesce in ogni modo.»
Compagno della nonna: «Eh sì, ci riescono perfino in carcere, dove sono sorvegliatissimi.»
Nonno: «Ma quelli se si suicidano tutti ci farebbero un favore!»
(battute successive tagliate per motivi di decenza)

Di nuovo non ci ho visto più e con un tono estremamente alterato (ancorché trattenendomi dal tappare loro le bocche infilandoci di traverso delle bottiglie di grappa) ho ribattuto:
«E se succedesse a uno qualsiasi di voi o a un vostro amico? Mettiamo che uno sia in carcere in attesa della fine del processo, con la sua reputazione ormai rovinata; anche se questo viene assolto, quanto è facile che voglia impiccarsi nel frattempo? Ma vi rendete conto di quello che state dicendo? Ci vuole un minimo di rispetto quando si parla di queste cose!»

In quell'istante, con la mia massima soddisfazione, è sceso il gelo sulla tavolata. I due forcaioli avevano un'espressione imbarazzatissima, totalmente incapaci di rispondere. L'argomento è caduto, siamo rimasti in silenzio per un minuto buono.

Anche se non ero l'unico a pensarla così, ma ho semplicemente detto quello che nessuno aveva voglia di dire in quel momento, mi sconforta vedere che anche nella mia famiglia si trovano esempi di superficialità disarmante, di populismo sciatto. E mi rattrista ancora di più sapere che quelli come loro sono tantissimi, troppi.

lunedì 7 febbraio 2011

[2008] Feticista della scrittura a mano

Da un appunto scritto a margine su una scheda di Storia della musica, 2008.
Mi ritengo, e credo a buon titolo, un "feticista" della scrittura a mano. La mia calligrafia è e sarà sempre solo la mia, unica. E ciò indipendentemente da ogni mio tentativo di renderla più o meno leggibile, più o meno decorativa, più o meno corsiva, più o meno veloce, più o meno riconoscibile, più o meno regolare.
Diciamo innanzitutto che regolare non lo sarà mai, sia per motivi di carattere, sia perché la mia scrittura non è tanto un movimento coordinato dei muscoli, ma più che altro uno spasmo. Le lettere fluiscono dalla matita, o dalla stilografica (biro, non sia mai!) in modo discontinuo. Escono un po' dritte e un po' storte, un po' rotonde e un po' angolose... Ogni tanto sono così belle che sembrano disegnate da un calligrafo. Spesso invece si accartocciano, come se dalla fretta la matita si fosse dimenticata di masticarle bene.
Se c'è una cosa di cui posso essere sicuro, è che la mia scrittura è irrimediabilmente piccola, come se cercasse di nascondersi, come la scrittura di qualcuno che non vuole dirti molto di sé stesso, come se cercasse di sottrarsi alla tua vista, come uno che non vuole rivelarti il minimo dettaglio di ciò che sta pensando. Una persona totalmente opaca verso gli altri, ermetica, una scatola nera.
«Preferisce il montepremi o la scatola nera?»
In questo caso la storia si biforca a seconda della risposta.
«Voglio il montepremi!» «Oh che disdetta! Nella scatola nera c'era... il doppio del montepremi!»
«Voglio la scatola nera!»
Allora la prendi, consegni tutto il montepremi e, convinto di essere stato più intelligente degli autori, la apri, e dentro è vuota.
"Cazzo — pensi — se solo avessi studiato meglio la meccanica quantistica a scuola!"

domenica 6 febbraio 2011

Meraviglioso¬

Non so se a voi è mai capitato, ma spesso, in chat o via SMS, ho avuto il problema di sottolineare il sarcasmo. Non è solo perché esistono persone che non sanno riconoscere il sarcasmo nemmeno mettendo un cartello luminoso, ma anche perché senza faccia o tono di voce è difficile riconoscerlo. Un'emoticon non avrebbe risolto il problema, perché non sempre la faccina ammiccante o quella scocciata rendono bene l'idea.
Così, con un amico, ho pensato di trovare un segno di punteggiatura per il sarcasmo. Ho scelto il simbolo "¬" perché in logica viene usato per indicare la parola "non", e poi fa la sua porca figura. Ammirate l'effetto.

«Ah ma quindi stai con ***?»
«Sì»
«Potevi dirmelo chiaramente! Beh se vuoi farti un amante, io sono sempre disponibile ;)»
«Puoi contarci!¬»
«Lo sai che oggi hai proprio la pelle grassa?»
«Io mi scopo tua madre.»
«Comunque scherzavo.»
«Anch'io¬»
Io: «Ah, l'altro giorno ho visto Coso; gli ho parlato tanto di te, Mia, e vuole assolutamente conoscerti. Ovviamente¬ anche te, Mary.»
Mary: «Ma quindi sa che esisto?¬»

Ora che lo conoscete, so già quanto vi divertirete¬ a usarlo.

Note: utenti Windows: visto che la Microsoft ama rendervi le cose facili¬, per produrre il simbolo ¬ bisogna digitare 0172 tenendo premuto Alt.
Utenti Linux/Unix (tranne Mac), per voi è più semplice: AltGr + 6.
Utenti Mac, non ne ho idea. Giochicchiate con Alt e gli altri tasti; se qualcuno trova la combinazione ed è così gentile da scriverla in un commento, gliene sarò grato a vita¬.
Update: per i "maccari" è Alt + L. Grazie della segnalazione, ne sono entusiasta¬.

giovedì 3 febbraio 2011

Dyssomnia

Addormentarmi per me è una chimera, specie quando ho delle questioni in sospeso, dei lavori da finire o sono nervoso. Cioè sempre.

Ho provato rimedi vari, da quelli più naturali, come cercare di trattenere il respiro fino a svenire, leggere un libro di Umberto Eco, a quelli più creativi, ad esempio distrarmi esercitandomi davanti allo specchio a sollevare un sopracciglio solo. Senza successo. O meglio, ho più controllo delle mie espressioni facciali, ma ho lo stesso arretrato di sonno di prima.

Nemmeno dormire abbracciato a un ragazzo funziona, ma ho notato che un minimo aiuta. Finora uno solo è arrivato molto vicino a farmi addormentare tra le sue braccia, e per poco non ci è riuscito. Confido nei prossimi.

Potrebbe diventare un reality show. Ho già pronto il titolo: Dyssomnia (perfetto anche per un film dell'orrore). Manca solo il premio. Eccolo: il concorrente, l'uomo, che riuscirà a farmi addormentare tra le sue braccia per primo, avrà... il mio amore eterno? (Non ci credo veramente nemmeno io, ma suona molto bene.)

lunedì 31 gennaio 2011

Intro

Cauto pessimismo non è un atteggiamento, ma uno stile di vita.

Cauto pessimismo è saper mescolare la poesia al realismo più spietato, è cercare di non illudersi mai, non dare niente per scontato, aspettarsi qualsiasi cosa, dubitare dell’ovvio. È un approccio sarcastico e impietoso alla realtà: capire che in fondo ogni cosa fa schifo (sebbene alcune meno di altre) senza tuttavia perdere il gusto della vita.

Cauto pessimismo è capire che non valiamo quasi nulla, è saper trarre da ogni avvenimento una lezione di vita. È una filosofia che punta al miglioramento continuo.

Cauto pessimismo è una strada verso la felicità.